di Milena Galeoto
C’era una volta Johann Sebastian Bach. Il primo a parlarci di Bach - che in tedesco significa “ruscello”, nome attribuito ai musicanti gitani - è un mugnaio, Veit Bach, padre del padre del padre di suo padre. Forse colui che ha seminato il germe della musica nella sua dinastia, intento a pizzicare le corde della sua piccola cetra, accompagnato dal ritmo armonioso delle pale del suo mulino sull’acqua. Orgoglioso di aver seminato lo stelo su cui ha preso forma la sua spiga. E ancora, Johanna Dorothes Vonhof, moglie del fratello maggiore di Sebastian che lo accolse nella loro casa come fosse un figlio. E il vicino di casa Herr Schmidt che non comprendeva come un ragazzino fosse sveglio di notte, in realtà a copiare di nascosto le note di Pachebel, Kell, Buxtehude dal quaderno di musica di Christoph, suo fratello, e che avrebbe voluto presto suonare. Perché Sebastian era come un ruscello, anzi, come un fiume che raccoglie tanti ruscelli, nutrito di tutti i maggiori compositori tedeschi e stili musicali di altri paesi, come lo descrive uno dei tanti protagonisti, Hans Stern, il formaggiaio di Dresda, parlando della sfida che lo avrebbe visto duettare con il musicista francese Louis Machand, a contendersi il posto di organista della corte reale. Niente e nessuno è mai riuscito a frenare Bach, questo ruscello impetuoso che, con la sua travolgente passione per la musica e scivolando sulle sue acque, ha trovato il modo d’inseguire il tempo e superarlo per arrivare fino a noi. Per questo Beethoven ha detto che Johann Sebastian non avrebbe dovuto chiamarsi Bach, cioè “ruscello” ma Oceano, perché la forza di quello che ha composto è trascinante e abissale, proprio come un oceano…
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